Il New Museum Contemporary Art di New York è uno degli ultimi musei costruiti a Manhattan, un edificio opera di SANAA, la Sejima e Nishizawa che hanno ricevuto l’incarico professionale nel 2002 per il nuovo edificio.
Il museo, inaugurato nel 2007, l’anno in cui si festeggiava il trentennale della nascita dell’istituzione museale, raccoglie in 5000 metri quadrati le opere di artisti contemporanei di tutto il mondo, una sorta di vero e proprio incubatore di arte contemporanea che non solo mostra ma organizza eventi, happening, biblioteca, archivi e una serie di spazi comuni e laboratori per incontri, conferenze o semplicemente per fare delle attività legate all’espressione artistica.
Sette parallelepipedi impilati l’uno sull’altro, volumi semplici che volutamente devono rimanere neutri, come dichiarano gli autori, per poter contenere tutta la cangiante creatività delle opere che si susseguono dentro gli spazi interni.
I piani dell’edificio costruiscono invece il carattere dell’edificio, la componente plastica che i volumi costruiscono traslando le sette “scatole” che in questo modo caratterizzano l’esterno del museo, come se fosse un gioco di costruzioni che un bambino ha appena terminato di montare.
I volumi, tutti diversi, sono avvolti da una rete metallica che ingabbia luci, trasparenze, colori, ombre, movimenti interni restituendo al fronte urbano un’altra opera plastica, questa volta a grandezza urbana.
L’edificio poi sembra quasi sospeso da terra in quanto il piano dell’ingresso è in realtà tutto vetrato, quasi come una sorte di azione di sospensione dei volumi soprastanti che formano quasi una pila di scatole bianche, come quelle che in pasticceria si usano per trasportare le cakes.
Unico colore presente sulla facciata è quello di un’opera d’arte che temporalmente viene posizionata sulla facciata, una sorta di omaggio alla strada, o una specie di anticipazione di quello che si potrà vedere all’interno del museo.
Ho avuto la fortuna di poter vedere la facciata bianca contaminata dal rosso di un’enorme rosa a gambo lungo che sembrava quasi infilzare in modo prepotente uno dei volumi candidi del museo, Rose II, l’opera di Isa Genzken, artista tedesca che nel 2007 ha realizzato questo che per lei è un omaggio a New York, città amata da oltre quarant’anni.
Il fiore, altro circa 28 piedi, è realizzato quasi interamente da materiali di riciclo e fa parte di un lavoro iniziato nel 1993 che vuole esplorare come nella cultura di massa percepiamo gli oggetti comuni alterando le scale nella ricerca di azioni di integrazione con le architetture o con la natura.
Nel 2011 poi la città di New York ha subito un’altra strana invasione di macro fiori, le istallazioni artistiche di Will Ryman che spuntavano nelle aiuole spartitraffico di Park Avenue, rose, insetti e infine superfici di tulipani veri che poi sono spuntati in primavera a completamento dell’opera.
Will Ryman racconta in una intervista che l’idea di questi fiori a scala urbana è scaturita da un ricordo che l’artista ha della scena iniziale del film Blue Velvet di David Lynch, la scena in cui si vede inquadrata una tipica scena iconica americana, una casetta, una staccionata bianca, delle rose, un uomo che innaffia il suo giardino e poi in un attimo tutto cambia e si fa terribile e minaccioso, l’uomo è a terra, il tubo d’irrigazione si è staccato, l’acqua va ovunque e la cinepresa si sposta nel sottosuolo dove vermi e scarafaggi si muovono velocemente, in un mondo oscuro analogo a quello dove poi si svolgerà la storia.
Insetti, rose e dimensioni esasperate in qualche modo portano l’osservatore a meditare e a confrontarsi con il gigantismo, invertendo per una volta il ruolo che l’uomo ha nei confronti di questi elementi naturali che esasperati, hanno un unico rapporto con l’altra esasperazione, quella artificiale dei grattacieli.
Per la mia partecipazione ad una puntata di Geo e Geo ho realizzato una cake in pasta di zucchero che si ispira al famoso museo di New York della Sejima, l’architetto giapponese curatore di una bella edizione passata della Biennale di Architettura di Venezia.
Non ho replicato i sette volumi per motivi di altezza, la torta non doveva essere molto alta perché avrebbe coperto la presentatrice e come sempre, ho interpretato anche la texture della facciata, utilizzando quadretti di ostia per simulare il piano terra vetrato e rigato invece con strisce di pasta di zucchero i volumi successivi.
Ho poi realizzato la famosa rosa rossa della Genzken con un’altra licenza, quella delle foglie che ho fatto cadere sull’edificio e che per un gioco visivo in alcune inquadrature fotografiche sembrano attaccate allo stelo.