Trentotto per diciotto metri, è questa la piccola dimensione di un grande spazio di potere, un rettangolo di prato incorniciato da quattro Magnolia x soulangeana e da due parterres di rose che corrono lungo il bordo.
Il Rose Garden della Casa Bianca è più di un giardino di rose, è un vero è proprio luogo di potere, uno spazio politico nel quale la storia della nazione più potente dell’Occidente è passata tra fili d’erba e sfacciate fioriture di tulipani.
In queste ultime settimane, questo spazio apparentemente innocuo si è trovato al centro di molte polemiche in occasione della sua recente ristrutturazione. La First Lady, forse la meno amata prima donna d’America, nel 2019 ha deciso che questo giardino aveva bisogno di un completo restyling. Il risultato è stato da poco presentato al pubblico e da subito sono esplose le polemiche.
A mio avviso molti degli attacchi a questo lavoro non hanno nulla a che vedere con il giardino, ma con la politica di quest’ultimo periodo; un’altra opportunità per aumentare il “rumore” in questo periodo così complicato e probabilmente e sicuramente per movimentare il dibattito pre elettorale.
La capacità di un piccolo giardino di scatenare tanto interesse, ma soprattutto tante critiche, mi ha incuriosito molto, anche perché le immagini del prima e dopo il restyling non mi avevano particolarmente impressionato, mentre invece la questione del giardino come strumento di potere e quindi come media, come mezzo di comunicazione più efficace di un twitter aveva ai miei occhi una certa attrattiva. Non sono una fan della signora Trump e a dire in vero neanche di questo giardino, ma come luogo carico di significati, vicende ed evoluzioni, la sua storia mi ha incuriosito e poi appassionato.
I giardini non sono innocenti e come spazio del nostro vivere, sono luoghi che rispecchiano la società, le nostre storie, il passato, il nostro presente e soprattutto il futuro, nel bene e nel male. Non sono spazi immobili, sono luoghi e come tali sono in moto e cambiano anche senza i nostri interventi, sono idee che ci fanno riflettere e pensare al futuro, al cambiamento, alla trasformazione.
In primo luogo c’è da dire che questo restyling non è un capriccio femminile ma il frutto di un lavoro meticoloso di uno studio di architettura del paesaggio conosciuto in America, OvS, Oehme van Sweden e associati. Lo studio ha redatto un documento di 243 pagine nel quale è descritto il giardino in tutte le sue fasi, costruzioni, cambiamenti, punti deboli e di forza. Un’analisi minuziosa e due proposte progettuali nelle quali i cambiamenti apportati al giardino sono coerenti con il processo di analisi. Il lavoro è stato poi discusso da una commissione di 14 membri del Comitato per la Preservazione della Casa Bianca e tre membri del comitato della Conservazione più dieci consulenti ed esperti esterni chiamati ad esprimersi sulle proposte. Una terza proposta concertata insieme allo studio di Perry Guillot, consulente ed esperto esterno interno però al processo, è stata alla fine quella scelta e poi realizzata.
Raccontare il Rose Garden e soprattutto il processo del suo rinnovamento, è come entrare in uno spazio americano nel quale tutti gli elementi hanno significati specifici e sono portatori di storie, ricordi, simboli e metafore, ed è per questo che non può che essere un giardino dei cambiamenti, piccoli o grandi che siano.
Per capire questo giardino bisogna risalire alla sua genesi.
L’Executive Mansion, la White House, la Casa del presidente degli Stati Uniti era ideologicamente e materialmente il centro del disegno a quadrati che Pierre L’Enfant nel finire del Settecento pensò per la città di Washington.
Nel 1792 fu poi bandito un concorso per la progettazione dell’edificio che fu vinto dall’architetto irlandese James Hoban: stile neoclassico e forme ovali, porticati e serre furono avvolti dal bianco il colore che, come dice Gilles Clément ha la forte leggibilità che lo rende un segnale.
Nel 1800 fu infine inaugurata la nuova costruzione che da quel momento fu abitata dai presidenti americani che si avvicendarono con le loro famiglie. Nel tempo la White House è stata ampliata, ristrutturata, ricostruita dopo gli incendi e arredata secondo le necessità e i gusti dei nuovi inquilini, ripensata funzionalmente secondo i momenti storici.
Nel 1877 il presidente Hayes e sua moglie Lucy, amanti entrambi delle piante, fecero poi costruire una Rose House, una serra, dove oggi sorge il Rose Garden e aggiunte altre strutture nelle quali coltivare le rose che sarebbero servite a decorare le stanze del palazzo.
Nel 1903 la nuova First Lady Edith Roosevelt fece abbattere le serre e poi costruire un giardino in stile coloniale sul lato sud del complesso, un disegno nel quale i parterres raffiguravano due grandi fiori a quattro petali.
ricostruzione del disegno del giardino del 1903 sullo schema del giardino del 2019
Dieci anni più tardi, nel 1913, Lady Ellen, la prima moglie del presidente Woodrow Wilson, ristruttura totalmente il giardino. La moda è cambiata e la First Lady chiama per il nuovo progetto la paesaggista Beatrix Farrand (membro fondatore dell’ASLA, l’America Society of Landscape Architects) e l’architetto del paesaggio George Burnap. Il nuovo giardino è totalmente diverso dallo schema di Lady Roosevelt, il layout è più semplice, simmetrico, con quella che fu definita una tavolozza di piante notevolmente più piccola.
Un prato centrale delimitato da piantagioni stagionali e arbusti di rose è il primo settore, quello più grande che è terminato verso il colonnato del portico da un altro settore di sezione più ridotta che accoglie un percorso chiamato la President’s Walk, ossia il nuovo percorso che il Presidente farà dagli appartamenti allo Studio Ovale, senza più passare per i locali di servizio.
Il giardino così concepito rimase sostanzialmente invariato nelle successive tre amministrazioni. Durante il periodo della grande depressione la First Lady Lou Henry Hoover fece istallare nel 1929 un piccolo patio sotto la grande Magnolia dedicata al Presidente Jackson.
Sotto la presidenza di Franklin D. Roosevelt fu richiamato Frederick Law Olmsted Jr. che già nel 1901 era stato nominato membro della Commissione McMillan per il Parco del Senato e per il Distretto della Columbia, un gruppo di lavoro per l’ulteriore sviluppo dei primi piani per Washington di L’Enfant. Olmsted Jr. elaborò un rapporto, una proposta di masterplan e un piano di gestione (oggi ancora seguito) per il Parco della Casa Bianca.
Nel rapporto di Olmsted Jr. auspica inoltre per i due giardini formali una “maggiore ricchezza e perfezione dell’esposizione floreale rispetto al passato” e al contempo propone una semplificazione nel layout e soprattutto un pensiero unico per le due strutture collegate tra di loro da un asse.
L’entrata nella seconda Guerra Mondiale da parte dell’America bloccò il progetto di Olmsted Jr. ma nel 1944 fu presentato un altro rapporto al presidente Roosevelt questa volta redatto dalla Federal Works Agency and Public Buildings Service con assistenza dell’architetto della Casa Bianca Lorenzo S. Winslow e dall’architetto paesaggista Spencer E. Sanders.
Questo rapporto affermò molti dei punti della relazione Olmsted, auspicando però per il giardino ovest un ritorno all’epoca precoloniale con un impianto dal design semplice che rifletta sulle forme dell’architettura dell’edificio.
Nel 1949 durante la presidenza di Harry Truman si diede inizio a una radicale ristrutturazione dell’edificio della Casa Bianca, restauro che si completò nel 1952 lasciando gli esterni in uno stato di “sofferenza” tanto che il Rose Garden fu smontato e ricostruito completamente, non apportando comunque nessuna modifica, allo schema precedente se non per l’introduzione di nuove varietà di rose.
Dopo quest’ultima ristrutturazione il giardino e il parco contavano più di 1430 nuovi cespugli di rose che però nell’anno successivo, con la presidenza di Dwight D. Eisenhower, furono in parte rimossi per motivi di contenimento della gestione economica.
Nel 1957 fu chiesto all’architetto de paesaggio James Howe un nuovo intervento nel Rose Garden per la rimozione delle siepi di divisione in modo da aumentare la superficie del prato che aveva bisogno di ospitare più persone negli eventi presidenziali in giardino.
E siamo arrivati alla presidenza di John F. Kennedy.
Quando la famiglia presidenziale arrivò alla Casa Bianca nel gennaio 1961 il Rose Garden aveva una immagine spenta, invaso dai ligustri che si insinuavano nei bossi topiari e poche rose che erano sopravvissute alle cesoie di Eisenhower.
Nell’estate del 1961 il presidente e la First Lady Jacqueline decisero che era giunta l’ora di riprogettare il Rose Garden e chiamarono la loro amica, Rachel “Bunny” Lambert Mellon, per questo incarico.
Bunny Mellon autodidatta in materia di garden design e giardinaggio, era una esponente dell’alta società industriale americana, collezionista d’arte e soprattutto di libri antichi sul giardino e infine filantropa. Bunny, come la chiamavano gli amici, conobbe i coniugi Kennedy nel 1958 e in breve tempo divenne amica e confidente di Jacqueline tanto da aiutarla nell’arredamento delle sue residenze.
La Mellon non era una professionista ma aveva una lunga storia d’amore con il giardino; si avvicinò al mondo delle piante durante la sua giovinezza quando viveva nella tenuta del padre a Princeton, nel New Jersey i cui giardini erano stati progettati da uno dei più importanti più grande studio di paesaggio della nazione, l’Olmsted Brothers. Da bambina poi disegnava e annotava osservazioni botaniche e si interessava a letture dove piante, fiori e favole si intersecavano costruendo mondi meravigliosi, fantastici che poi confluiranno nel suo lavoro di progettista.
E poi c’è il suo giardino bellissimo a Oak Spring in Virginia, una sua creazione nella quale mescolò la pratica del giardinaggio e la teoria appresa dalla lettura dei tanti libri e trattati sulla storia del giardino, molte rare edizioni che collezionò nella sua personale biblioteca e sui quali studiò le opere Jean de La Quintinie, Jacques Boyceau, Claude Mollet e tanti altri importanti esponenti della storia del giardino europeo tra il Cinquecento e l’Ottocento.
la famosa galleria dei Crabapple a Oak Spring
Kennedy voleva un nuovo giardino da guardare dallo Studio Ovale e sapeva bene che la Mellon non aveva una storia professionale come landscape architect, ma conosceva lo splendido lavoro che aveva fatto nella sua tenuta di Oak Spring e la sua chiara competenza in materia di giardinaggio. Fu così che a Bunny Mellon fu data la progettazione del nuovo Rose Garden poi completato nel marzo 1962, dopo quattro settimane di cantiere.
La formazione della Mellon fu con probabilità stimolata dai progetti di Ellen Biddle Shipman, altro esponente dell’architettura del paesaggio statunitense che aveva lavorato nella tenuta del primo marito di Bunny, a Stacy Lloyd ad Apple Hill in Virginia. Il lavoro della Shipman, più di quattrocento progetti, oggi conservati negli archivi della Cornell University, si basava su schemi dall’ossatura semplice, con elementi assiali e simmetrici, modelli chiari sui quali costruire spazi che mettono la casa e il giardino in relazione visiva e fisica.
Questo approccio rimase bene in mente alla Mellon quando affrontò la progettazione del Rose Garden, lavoro che eseguì insieme al suo amico Perry Wheeler, un architetto paesaggista con studio a Washington che l’aiutò per gli aspetti tecnici della progettazione e della costruzione un giardino.
Fin dal principio il concept del giardino fu chiaro, anche se la Mellon affermò di essere stata molto indecisa sul da farsi. Quando si da’ inizio a un progetto arriva quel momento delicato nel quale si cerca quel momento del processo, chiamamola ispirazione, momento creativo, illuminazione, un istante nel quale tutto ciò che si sa del luogo, dei desideri da perseguire, devono canalizzarsi nell’idea che a sua volta si trasforma in un insieme di sentimenti, storie, vocazioni e fantasie guidate da questa primordiale emozione.
L’emozione della Mellon si materializzò nell’incontro con le magnolie del Frick Museum nella 5th Avenue a New York. Era l’ottobre del 1961 e la Mellon di quell’incontro racconta :
«Avevo spesso ammirato questi alberi, ma quella sera avevano un’importanza speciale me. I loro rami argentei pallidi sembravano trattenere la luce dell’estate […] mentre in inverno oltre a dare forma, trattengono gocce di pioggia che sembrano ciuffi di neve che cadono […] questi alberi ammorbidirebbero gli angoli difficili che ora sono spogli e permetterebbe alla luce di cadere al di sotto e consentire la semina».
Bunny dopo questo incontro fece assumere come capo giardiniere alla Casa Bianca Irvin Williams che lavorava per il National Park Service nei Kenilworth Aquatic Gardens,giardini che si trovavano a Anacostia, uno dei quartieri più poveri e pieni di criminalità di Washington, un giardino visitato da poche persone e nel quale il giardiniere lavorava da otto anni.
Williams l’aiutò non solo a trovare i quattro esemplari di Magnolia x soulangeana che incorniciarono il nuovo giardino presidenziale ma la seguì nella costruzione del giardino. Williams sarebbe rimasto in seguito alla Casa Bianca come capo giardiniere fino alla sua pensione, nel 2008.
Ispirandosi ai giardini del Vecchio Continente la Mellon progetterà un grande rettangolo centrale di prato, elemento richiesto espressamente dal Presidente Kennedy per accogliere eventi, premiazioni, conferenze stampa, cene estive e momenti intimi con la famiglia, una superficie delimitata da due lunghi parterres che simulano il disegno di un tappeto con un disegno a rombi, una forma spesso presente nella storia dei decori americani delle case della Virginia del Sud ma di derivazione francese, nella quale i cespugli di rose sono accompagnati da perenni e piante stagionali, come bulbi di tulipani in varietà e muscari.
«Il presidente amava i fiori e ha chiesto se varietà di altri tipi potrebbero essere mescolate con le rose. Aveva letto le note del giardino pubblicate di Thomas Jefferson e sperava di avere i fiori usati nel periodo di Jefferson».
Per la Mellon «i fiori sono la scatola dei colori del design del giardino e possono creare un senso di pace e semplicità» per cui «troppe rose rosse mescolate con altri fiori può dare a un giardino una pesantezza e una tristezza che non le appartengono. Le rose rosse sono spesso la più bella di tutte le rose, ma è meglio piantarle insieme, o con fiori ad essi collegate». Per questo furono scelte rose dal colore bianco, rosa pallido e giallo in contrapposizione ai colori stagionali delle tante fioriture poste nel primo piano dei parterres.
Quattro Magnolie punteggiano gli angoli del giardino ma per dare più verticalità ai parterres furono piantati dieci Malus “Katherine”, i Crab Apple, i meli selvatici tanto amati dalla Mellon. Questi meli sono poi stati sostituiti nel 2003 perché ormai alla fine della loro vita e sostituiti con altri esemplari che però a causa del clima caldo umido di Washington non riuscivano a crescere come ci si aspettava. Nel 2010, e poi ancora nel 2013 sono stati piantati nuovi esemplari, questa volta di Malus “Spring Snow” a fioritura bianca.
Masse di bossi collegano poi i parterres con l’ingresso al giardino dallo Studio Ovale.
Interessante poi la questione del raccordo tra il piano del giardino e quello del porticato sul lato corto dello Studio Ovale; furono dapprima pensati dei semplici scalini ma poi, grazie alla richiesta del Presidente Kennedy che voleva un passaggio più rilevante e soprattutto un piccolo palco da cui parlare, furono disegnati dei gradini dall’ampia pedata con un secondo gradino ancora più ampio adatto ad accogliere le persone in una posizione non troppo alta rispetto al prato, come dire, una altezza democratica dalla quale si percepisce l’importanza delle persone accolte ma al contempo una vicinanza spaziale con chi ascolta.
Su questo gradino fu data, il 9 aprile 1963 la cittadinanza onoraria americana a Sir Winston Churchill.
A maggio del 1962 il giardino fu terminato e pronto ad accogliere momenti istituzionali e privati, momenti gioiosi e tristi.
Nei diciotto mesi successivi della sua breve presidenza Kennedy trovò in questo spazio rifugio e aiuto:
«Quando ha dovuto parlare di cose che potrebbero cambiare il mondo, ha trovato aiutato guardare fuori nel suo giardino». Questo ricordava Jacqueline Kennedy alla sua amica Bunny rievocando i giorni della crisi cubana nell’ottobre 1962.
Quando la crisi passò nei giorni successivi al la ritirata dei russi, Kennedy fece recapitare un biglietto di ringraziamento alla Mellon nel quale scrisse «Non ho bisogno di dirti che il tuo giardino è stato il nostro punto più luminoso nell’ambiente cupo degli ultimi giorni».
La Mellon avrebbe dovuto progettare anche l’altro giardino simmetrico al Rose Garden, l’East Garden, dedicato alla First Lady Jacqueline, ma la morte improvvisa di Kennedy fermò il progetto che però fu ripreso e realizzato nel 1965 sotto la presidenza di Johnson.
Il Rose Garden si trasformò nei decenni successivi in un luogo della politica, uno spazio che i media americani chiamano fin dai tempi del presidente Carter “Rose Garden Strategy”, un giardino usato dal Presidente per incontri di diverso tipo che si intensificano nei momenti delle campagne di rielezione presidenziale.
Un esempio è proprio quello dell’attuale presidente Trump che, come ci ricorda il New York Times, ha tenuto prima metà del 2019 più del doppio degli eventi nel Rose Garden rispetto all’anno precedente.
Un giardino quindi per rafforzare l’immagine pubblica del Presidente e dal quale fare proclami elettorali insieme alla sua famiglia schierata con lui sul prato di un giardino.
È questo che sostanzialmente ha fatto la First First Lady Melania Trump nel voler rinnovare il giardino in questo periodo, un atto politico in coerenza con la storia di questo giardino. Del resto lo aveva fatto anche Jacqueline Kennedy, quando fece riprogettare il giardino alla Mellon.
E ora veniamo finalmente a oggi e al nuovo Rose Garden.
Negli anni successivi al 1963 il giardino non ha avuto cambiamenti strutturali se non per le piantagioni di nuove rose che sostituivano o andavano a integrare la collezione esistente. Bisogna dire che il clima di Washington non è dei più adatti per le rose e quindi le sostituzioni sono state frequenti come anche l’introduzione di nuovi esemplari che ogni presidente ha voluto.
Il risultato è stato che a un certo punto lo schema della Mellon si è appesantito, soprattutto per quanto riguardava i colori delle fioriture.
alcune delle rose presenti nel Parco della casa Bianca e nel Rose Garden
Elenco delle rose presenti nei parterres del Rose Garden nel 2019 prima della ristrutturazione
Rose Rosa floribunda ‘White Bouquet’ (1979)
Tea Rose Rosa ‘Nancy Reagan’ (1984, 1988, 2008)
Rose Rosa floribunda ‘Pat Nixon’ (1979, 1984, 1988, 1992, 1996, 2000, 2004, 2008, 2012, 2016)
Rose Rosa grandiflora ‘White Lightning’ (1984, 1988, 1992)
Shrub Rose Rosa ‘Sea Foam’ (1984, 1988, 1992)
ROSE Rosa ‘Rosalynn Carter’ (1979)
ROSE Rosa floribunda ‘Iceburg’ (1992, 1996, 2000, 2004, 2008, 2012, 2016)
ROSE Rosa ‘John F. Kennedy’ (1992, 1996, 2000)
antique roses Rosa ‘Erfurt’, ‘Francesca’, ‘Danaë’ (2008)
Rose Rosa ‘Barbara Bush’ (2008)
Rose Rosa ‘Ronald Reagan’ (2008)
Rose Rosa ‘Pope John Paul II’ (2008, 2012, 2016)
Rose Rosa ‘Laura Bush’ (2008)
Rose Rosa ‘Opening Night’ (2008, 2012, 2016)
Rose Rosa ‘Love’s Promise’ (2012, 2016)
I Malus poi, più volte sostituiti, a un certo punto della loro vita davano problemi con la loro chioma, non solo per l’ombra proiettata sulle piante più basse ma per una minore circolazione dell’aria all’interno del microclima dei parterres.
Il giardino inoltre aveva problemi di drenaggio e soffriva di una scarsa fruibilità per le poche aree pavimentate e i passaggi ridotti. Nel tempo poi il sistema degli arredi, come panchine, sedute e altro, ha perso unità con l’aggiunta in epoche successive di tali elementi e anche il sistema d’illuminazione aveva bisogno di essere ristrutturato con tecnologie più recenti.
Lo studio e le proposte per la riabilitazione del giardino sono il lavoro dello studio OvS, Oehme van Sweden che ha inizialmente prodotto un’attenta analisi storica e un esame delle criticità strutturali del Rose Garden.
Sono state realizzate due soluzioni e poi, dopo l’istruttoria da parte del Comitato, è stata prodotta una terza ipotesi, in unità questa volta con le osservazioni di un secondo studio di architettura del paesaggio, quello di Perry Guillot, che faceva parte degli esperti esterni alla commissione.
Questa proposta è stata quella poi realizzata.
Ma veniamo a quest’ultimo stadio del processo progettuale.
Due gli elementi del precedente giardino che non sono cambiati nel processo. Il primo è lo schema del giardino di Mellon, preso come invariante al layout, mentre il secondo è la presenza delle rose, fiore simbolo dell’America e sempre presente nelle vite dei presidenti, da finire ora negli occhielli delle loro giacche, ora come dono giornaliero alle First Lady o come fiore presente nei vasi dello Studio Ovale.
La prima proposta mantiene essenzialmente lo schema del giardino del 1962 migliorando il sistema del drenaggio, conservando i Malus nei parterres ma riposizionandoli in modo simmetrico rispetto al ritmo del colonnato e delle finestre dell’edificio, rivede il disegno geometrico delle aiole per ridurre l’interferenza, il disturbo tra le radici degli alberi e le piantagioni di bulbi, annuali e perenni, unifica dal punto di vista dei materiali le pavimentazioni presenti utilizzando una pietra calcarea e poi pochi altri piccoli cambiamenti dello schema iniziale.
La seconda ipotesi propone di ridurre il numero di meli nei parterres, una operazione auspicata anche da un precedente rapporto redatto dalla stessa Mellon quando venne richiamata nel 1981 dalla First Lady Nancy Reagan per dare ulteriori consigli sul giardino. La Mellon in questa occasione proponeva un alleggerimento della sua struttura eliminando qualche melo in modo da dare più luce alle aiole sottostanti e avere più spazio per poter piantare.
Il progetto poi propone di conservare l’Hoover patio nell’estremità orientale del giardino ingrandendolo e la creazione di una bordura di piante native americane lungo il lato esterno sud del giardino, una sorta di struttura di transizione tra il formalismo del giardino a una forma più naturalistica che evochi i paesaggi del Sud.
È previsto inoltre un bordo pavimentato lungo il perimetro del prato per facilitare la fruizione e l’alloggiamento di alcuni sottoservizi in modo tale da non farli interferire con gli apparati radicali delle piante.
Per il resto sono confermaie tutti i cambiamenti e le migliorie della prima ipotesi.
L’ultima versione, quella redatta insieme a Perry Guillot, accoglie sostanzialmente la maggior parte degli elementi delle altre proposte ma elimina i meli dalle aiuole sostituendoli con altri cespugli di rose, rinnovando poi anche le masse di bossi ad ars topiaria lungo i lati esterni del giardino.
Questa in sostanza la critica maggiore, l’eliminazione dei Malus che, in effetti, ha reso i parterres senza un ritmo verticale che accompagna quello del colonnato. Ma i cespugli di rose piantati cresceranno e quindi con qualche probabilità daranno quel volume necessario per creare un movimento all’insieme della composizione. Non si esclude, però, di reintrodurre i meli in futuro di una varietà comunque più contenuta nella crescita rispetto ai Malus “Katherine”.
il giardino prima della ristrutturazione
il giardino dopo la ristrutturazione
2019
2020
Forse il cambiamento più forte, quello che ha colpito di più l’opinione pubblica è il ritorno alle rose dalla fioritura chiara dopo decenni di arcobaleni di petali di rose che hanno affollato questo piccolo giardino. È stato questo il cambiamento più evidente che hanno registrato le persone; poco colore e poi molte piante perenni dai toni cromatici che assecondano i bianchi, i rosa e i gialli delle nuove rose, se vogliamo un’immagine più austera del giardino in contrasto con l’allegria cacofonica dei colori che si sono affollati nei decenni successivi al Rose Garden dei Kennedy.
Molte critiche per pochi cambiamenti, frutto non di un solitario ragionamento presidenziale, ma di un lavoro professionale sostanzialmente filologico.
Ultima riflessione.
Il giardino è una struttura vivente, accetta le trasformazioni se in coerenza con l’habitat fisico, storico-culturale; accoglie i cambiamenti e come tale non può essere immobile e privo di vitalità come un quadro. E questo vale anche per un giardino di potere.