“Confortatemi con delle schiacciate d’uva, Sostenetemi con de’ pomi, Perciocchè io languisco d’amore”.
dal Cantico dei Cantici 2.5.
Tanti anni fa, ancor prima di aprire questo blog, o sito o meglio, spazio con una mia visuale, mi sono imbattuta in quella che definisco la trilogia di Ruth Reichel, critica gastronomica americana, poi scrittrice e cuoca. Confortatemi con le mele è appunto uno dei tre romanzi culinari di Ruth e il titolo è liberamente tratto da un passaggio del Cantico dei Cantici. In questa breve frase è praticamente contenuta tutta una piccola sensibilità verso il cibo e il suo potere consolatorio, ma anche la capacità del cibo di essere parte integrante di quel mondo impalpabile che è il nostro sentire, la nostra sensibilità, il nostro modo di relazionarci al di fuori di noi stessi con i sentimenti. Non è solo una liberazione dalla necessità di lottare per il cibo, cosa che in alcune parti del mondo succede ancora, è la capacità del bisogno, della necessità che abbiamo di nutrirci di tante cose che ci riconducono a una complicata sfera nella quale i sentimenti sono altrettanto “cibo”, bisogno innato per il nostro vivere.
E come consolarci se non con una profumata, croccante mela?
La mela è il frutto del Malus domestica, albero fruttifero antichissimo, una specie della famiglia delle Rosaceae che probabilmente arriva da Almaty la capitale del Kazakistan, città il cui nome antico, Alma Ata, significa proprio “Padre delle mele”, un centro che anticamente era circondato da boschi di meli selvatici (Alma). Molti sostengono che da qui proviene il melo domestico.
In realtà è il Malus sieversii ad essere il “papà delle mele”, un melo scoperto dal botanico e farmacista Johann Sievers che, per conto di Caterina II, alla fine del Settecento, visitò prima il Kazakhstan, poi la Siberia e infine la Mongola. Questo melo, che fu trovato sulle pendici dei monti Tarbagatai, grazie agli studi comparati sul genoma delle mele coltivate si è scoperto che il Malus sieversii è il progenitore di tutti i cultivar domestici. Forse però le aree nelle quali questo melo era presente era più di una: dall’altopiano dell’India e del Pakistan fino all’Asia centrale e all’Asia Minore. Da qui, proprio ripercorrendo quella che era la Via della Seta, attraverso le carovane, la pianta giunse e si diffuse nell’Anatolia e in Persia settentrionale passando per il Caucaso, arrivando poi a lambire finalmente le coste del Mediterraneo.
Sarà però Thomas Andrew Knight, agronomo britannico, a dare il via, agli inizi dell’Ottocento, al mondo delle varietà delle mele con l’impollinazione incrociata controllata.
In Italia una delle mele più antiche è quella citata da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia nella quale racconta della “mala orcula”, una mela che proveniva dalla zona di Pozzuoli, e precisamente dal Lago di Averno, area ricca di solfatare e per questo raccontata da sempre come uno degli ingressi agli inferi (l’orco). Nel tempo poi il nome si tramutò in “anorcola” e poi in “annorcola” fino a comparire nel Manuale di Arboricoltura di Gian Battista Pasquale del 1876, in mela annurca.
Ancora oggi questa mela è tipica della zona tra l’area flegrea, il casertano, il beneventano e il territorio salernitano. Insomma tutta la Campania è interessata da questa produzione di eccellenza che dal 2006 è prodotto IGP.
La raccolta della mela annurca poi ha una caratteristica interessante. A settembre è fatta la raccolta delle mele che sono ancora acerbe e per farle maturare sono disposte su dei letti rettangolari profondi poco più di un metro di terreno sollevati da terra in modo tale da avere tra un letto e l’altro la possibilità di far scorrere l’eventuale acqua della pioggia. Le mele sono così poste l’una vicina all’altra in un solo strato sopra uno strato della lavorazione residua della canapa che funziona da isolamento dal terreno, oppure da del truciolato di legno.
Ma siccome il sole è ancora forte in queste zone, spesso questi letti di maturazione sono coperti da dei teli protettivi di copertura su un sistema di pali. Questo tipo di campo è chiamato melaio e queste sistemazioni sono chiamate anticamente “porche”. In questo modo le mele, che sono girate 2/3 volte nei quindici giorni di esposizione al sole, si maturano e sono pronte a essere immesse sul mercato dal mese di novembre fino alla primavera.
L’archeobotanica ci ha raccontato di mele nel neolitico, nell’età del Bronzo e dei semi di mela trovati nei villaggi palafitticoli di valeggio sul Mincio oppure della mela appiola chiamata così da Appio Claudio che la portò nel III sec. a. C. dal Peloponneso. Plinio, Columella, Teofrasto e Catone nei loro lavori letterali ci raccontano delle mele dell’antichità, il mondo greco ci raccontano come sia stato simbolo di discordia e di guerra mentre il mondo celtico descrive la mela come frutto magico, come frutto dell’immortalità.
E poi c’è la pomologia, una disciplina che studia e classifica dimensioni, colore, tempi di maturazione e caratteristiche dei frutti. Schede pomologiche nelle quali si danno notizie sulla storia dei cultivar, sulla loro diffusione e caratteristiche colturali sono raccolte, insieme a dettagliati disegni nelle pomologie, libri che raccolgono tutto sulle mele ma anche di altri frutti, come gli agrumi.
I testi nei quali sono raccolte queste caratteristiche, soprattutto illustrate da disegni, sono veri e propri cataloghi che sostenevano la frutticoltura nel suo sviluppo fin dai tempi dell’antica Roma.
Nel Theatre d’agriculture et menage des champs di Jean Baptiste de la Quintinye, agronomo e giardiniere alla corte di Luigi XIV racconta di pomi nel giardino di Versailles ma l’età d’oro per le pomologie, i libri illustrati con splendide sezioni e viste per intero dei frutti, è il settecento, un’arte che accompagnerà le scienze agronomiche fino a buona parte del Novecento.
fonte immagini dal web
Nel mondo cristiano è il frutto proibito dell’Eden, simbolo di sofferenza, castigo e penitenza: il malum.
La mela ci accompagna quindi da sempre come simbolo di salute e abbondanza, come metafora della fecondità, amore e seduzione, come emblema di forza come nel caso del ritratto di Francesco Maria della Rovere dipinto da Raffaello Sanzio con un pomo in mano, immagine che rimanda al suo potere sulla Terra.
E poi abbiamo mele grandi protagoniste della scienza come la mela di Newton o quelle delle fiabe come quella avvelenata di Biancaneve o sensuali come quella tenuta in mano lascivamente da Paolina Borghese nell’opera del Canova. Ma la storia dell’arte è disseminata di mele tra le mani di uomini e donne famosi, miti e festoni che ornavano banchetti o pale di altare.
Oggi una mela fa discutere un po’ Milano, la “Mela Reintegrata” di Michelangelo Pistoletto, opera posta davanti alla Stazione centrale del capoluogo lombardo.
Un’anteprima di questa mela artistica fu realizzata ed esposta per l’Expo di Milano, una mela verde che vuole portarci in un Terzo Paradiso, un luogo nel quale si entra “in una nuova Era, nella quale mondo artificiale e mondo naturale si ricongiungono generando nella società un equilibrio esteso a dimensione planetaria. Il simbolo della Mela Reintegrata rappresenta la ricomposizione degli elementi opposti: natura e artificio. La mela significa natura; il morso della mela significa artificio[ …] assume il compito di ricucire la parte asportata dal morso e ricongiungere l’umanità alla natura, anziché continuare ad allontanarla da essa.” (cit. M. Pistoletto)
Un frutto speciale per l’umanità intera: qualsiasi lingua, religione, cultura e paesaggio vede crescere e fruttificare i meli, questi sono capaci di accompagnare, sotto forma di cibo o di simbolo, forse più di ogni altro albero da frutta, l’uomo nella vita e nella storia.
Confortatemi con le mele è una richiesta universale e allo stesso tempo intima, personale, ma sicuramente risponde alla richiesta di essere tranquillizzati in un’epoca dove la ricerca dell’armonia, una nuova armonia è la condizione a cui tendiamo tutti, un bisogno di equilibrio fisico e mentale capace di superare le difficoltà, di affrancarci dall’oscurità.
mele al forno caramellate alla cannella
ingredienti
7 mele annurche
500 gr di zucchero semolato
un cucchiaio di acqua
100 gr di burro
due stecche di cannella
3 cucchiai di uva sultanina
un limone
procedimento
sbucciate le mele e mettetele dentro una ciotola con acqua e il succo di un limone
in una padella antiaderente mettete lo zucchero e un cucchiaio d’acqua e fate squagliare lentamente fino a caramellare. A questo punto aggiungete il burro a pezzetti e mescolate bene
prendete una pirofila, versate il caramello, aggiungete l’uva sultanina fatta rinvenire in acqua bollente e aggiungete le due stecche di cannella
asciugate le mele e disponetele dentro la pirofila
infornare a 180°C e cuocete per circa 45 minuti
sfornate e servite le mele tiepide con del gelato alla crema o con della crema inglese