“Avevamo raggiunto i margini di quella fantastica foresta, certamente una delle più belle dell’immenso mondo sottomarino del capitano Nemo.
Egli la considerava sua e si attribuiva su di essa gli stessi diritti che i primi uomini avevano sulla terra degli albori del mondo.
D’altra parte, chi avrebbe potuto contestargli il possesso di quella zona sottomarina?
Quale altro pioniere più ardito sarebbe venuto, ascia alla mano, a esplorare l’oscuro bosco?
La foresta si componeva di grandi piante arborescenti e, dopo che fummo penetrati sotto le sue ampie volte, il mio sguardo fu subito colpito dalla singolare disposizione dei loro rami come non avevo mai riscontrato.
Nessuna delle erbe che tappezzavano il suolo, nessun ramo che sporgeva dagli arbusti si stendeva orizzontalmente o si incurvava: tutti tendevano verso la superficie dell’oceano.
Le liane si sviluppavano seguendo una linea rigida e perpendicolare, costrette in tale posizione dalla densità dell’elemento in cui erano cresciute.
Erano immobili e, quando le spostavo con la mano, riprendevano subito la loro posizione primitiva.
Eravamo nel regno della verticalità.
Mi abituai presto a quella disposizione bizzarra, come pure alla relativa oscurità che ci avvolgeva.
Il suolo della foresta era cosparso di sassi taglienti che era difficile evitare.
La flora sottomarina mi sembrava ben rappresentata, più ricca di quella delle zone artiche o tropicali.
Osservai come tutta quella manifestazione del regno vegetale si tenesse unita al suolo con un impasto indefinito.
Sprovvista di radici, indipendente dai corpi solidi, sabbia, conchiglie e sassi ci si sorreggeva, vi cercava solamente un punto di appoggio, non nutrimento.
Per la maggior parte, invece di foglie, germogliava lamine di forme capricciose, circoscritte in una ristretta gamma di colori che comprendeva solo il rosa, il carminio, il verde, il verde oliva, il fulvo e il marrone.
Là potei rivedere, ma non più disseccate come i reperti del Nautilus, alghe disposte a ventaglio che sembravano cercare la brezza, raggruppate in mazzi che raggiungevano i quindici metri.
Fra quella vegetazione alta come le piante delle zone temperate e sotto la loro umida ombra, si ammassavano dei veri cespugli dai fiori viventi: gli zoofiti.
[…] Il terreno continuava a scendere e il pendio si accentuava sempre di più, conducendomi a maggiore profondità.
Dopo aver camminato a lungo arrivammo a una valle stretta, incassata tra due grandi pareti a picco, posta a circa centocinquanta metri di profondità.
[…] Ora l’oscurità era profonda: non si vedeva nulla alla distanza di dieci passi.
Stavo camminando a tentoni, quando all’improvviso vidi brillare una luce bianca assai viva: il capitano Nemo aveva messo in azione il suo apparecchio elettrico.
[…] Il capitano Nemo continuò ad avanzare belle oscure profondità della foresta, i cui alberi si andavano sempre più diradando: vidi che la vita vegetale veniva a mancare prima della vita animale: le piante sottomarine erano già sparite e il suolo era arido, ma un gran numero di animali, zoofiti, articolati, molluschi e pesci di ogni genere ci sgusciavano intorno.
[…] Quella meravigliosa escursione ebbe termine quando un muro ricco di rocce superbe e di una grandezza imponente si drizzo davanti a noi, ammasso di blocchi giganteschi, enorme scogliera di granito perforata da grotte oscure, ma che non presentava nessun passaggio praticabile.
Erano le propaggini dell’isola di Crespo. Era la terra.
Il comandante si fermò di colpo.
Con un gesto ci fece fermare e, per quanto desideroso fossi di scalare quella parete, dovetti obbedire.
Lì finiva il dominio del capitano Nemo ed egli non l’avrebbe superato: di là vi era quella parte del globo che egli non voleva più toccare.”
Tratto da Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne, questa bella descrizione del mondo sottomarino è anche una descrizione del limite, del confine personale che non deve essere superato. Il mondo del capitano Nemo era quello sommerso, e lì, come in una replica o meglio come in un mondo riflesso, duplicato, trova il suo rifugio. Oltre, in superficie, l’altro mondo, fermo e immobile, quello della terra asciutta, non esiste più se non nel ricordo, nelle descrizioni che il capitano poteva leggere nei dodicimila volumi della sua biblioteca sottomarina.
Amo il mare e l’acqua e non me ne vogliate amanti della montagna, ma questo è il mio elemento, il luogo dove sto meglio, dove mi sento tranquilla, in armonia, che sia calmo o tempestoso, trasparente o scuro.
Per il festeggiamento di Ferragosto quest’anno ho realizzato una piccola torta in pdz, un fondale sottomarino, ricoperto di spugne, conchiglie, stelle marine e un unico corallo, color dell’oro dedicata a Nemo, Nessuno.
Le immagini che illustrano questo post sono state scattate da me in quel bellissimo acquario del Museo della Scienza di San Francisco progettato da un altro amante del mare, Renzo Piano.