La storia, come ci hanno insegnato, è un tentativo di narrazione continua, di raccolta di fatti, eventi, accadimenti che, attraverso le testimonianze, ci sono riportate per studiare e capire il nostro passato.
Le modalità di trasmissione nel tempo sono cambiate, le storie erano prima orali, poi incise, poi scritte, poi sono di nuovo ritornate orali con le telecomunicazioni e oggi sono sempre di più impalpabili e viaggiano nell’etere.
La storia ha diverse grandezze spazio-temporali: la storia del pianeta, la storia di una nazione, la storia di un popolo, la storia di un’epoca, la storia di un uomo, la storia di una famiglia, e, più banalmente, quella della mia gatta o del mio giardino preferito.
Alla ricerca di nuove regole, di nuove e più efficaci forme di comprensione, cerchiamo continuamente modelli di riferimento, paradigmi, uno schema concettuale capace di fornire spiegazioni di ciò che osserviamo, che ci accade per comprendere.
Come dire, si costruiscono modelli per dotare forma coerente alla narrazione basata sui fatti. Una costruzione quindi di connessioni.
Malgrado il periodo dove la storia subisce metamorfosi inspiegabili, nel quale il senso da bianco si trasforma in nero, senza un processo logico, ritengo che è ancora importante raccontare e soprattutto leggere le storie.
Una raccolta di tre racconti che mi sono molto piaciuti, anche se storie anonime, non riconducibili perciò a volti, ma che rimandano a vicende vere, a volte rocambolesche, spesso intriganti: sono le appassionate narrazioni che ho appena finito di leggere. Il racconto a tre voci, in tre tempi e di tre donne, sono una raccolta di tre ricettari, tre storie, tre persone, tre modi di vivere che incrociano, nel tempo vissuto, un comune denominatore, la passione per la cucina.
Questo è in estrema sintesi la struttura del bel libro Cuoche ribelli, tre ricettari, scritti in forma quasi di diario, di cucina francese, spagnola e tedesca, scritte da tre donne molto diverse, vissute all’inizio del Novecento, in un periodo vivace e tumultuoso, doloroso ma effervescente, insomma un tempo pieno di cambiamenti.
Tre donne che non rivelano il loro nome ma che ci raccontano, attraverso la descrizione di squarci della loro vita, tutto di loro, dai loro incontri galanti, alle loro amicizie, al loro impegno politico, tra azioni violente, come i sabotaggi, ai balli in maschera, tra vernissage e passeggiate, tra salotti letterari e volantinaggi. E raccontano anche degli altri, degli uomini che incontrano, partigiani, politici, pittori, musicisti e rivoluzionari.
Nel narrare le loro storie raccontano anche la loro cucina, le loro ricette e di come queste si mescolano come episodi, nella vita quotidiana, negli incontri, nelle passioni.
Esistenze dove il fare è collegato con il pensiero, cosa che oggi è sempre più rara come condizione.
La cucina impudica, è il primo diario scritto tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso a Parigi. Chi lo scrive è una “donna di mondo”, il suo titolo è eloquente “Ricette segrete di una donna di mondo rivelate a chi intenda diventarlo”, un piccolo manoscritto ritrovato in una bancarella a Vienna composto da novantasei pagine scritte in bella calligrafia datato 1919/1931.
Qui le ricette sono “condite” di aneddoti, storie di piatti personali o di amiche, cuoche, o assaporati in famosi ristoranti e raccontati con ironia e leggerezza con giochi di parole e riflessioni.
I titoli delle ricette solo a leggerli fanno sognare e spesso sono lussuriosi, quasi carnali.
“Mousse di trota bianca alla neve rosa” inizia con una sintesi perfetta di cosa significa essere chic: “Lo chic è fatto di niente, ripete in continuazione Lucie, è più il modo di togliersi il vestito che di portarlo”.
E’ inutile raccontarvi che io sono andata subito a leggere le ricette dei dolci , tuffandomi in parfait, frutta caramellata, soufflé, budini, creme rovesciate, mousse al cioccolato, tartes, tartufi, babà e per finire madeleines, tutti dolci decisamente sensuali.
Ogni ricetta ha dentro un mondo colorato di pittori, scrittori, aristocratici, futuristi, intellettuali, romantici, mariti, amanti e dongiovanni.
Una notizia forse utile. Pare che la lingua di carpa sia afrodisiaca. La mia attenzione per le carpe aumenterà, forse.
Il secondo diario-ricettario è quello de “La cuoca di Buenaventura Durriti”, ossia “La cucina spagnola al tempo della guerra civile”.
Ritrovato nel 1970 dentro una pila di riviste e opuscoli in una libreria di Zurigo, il manoscritto è composto da un centinaio di pagine scritto a mano ma con alcune ricette in copia carbone dattiloscritte scritte durante la Guerra di Spagna tra il 1932 e il 1939.
Nadine è il nome di battaglia dell’autrice che, in una lettera inviata a una sua amica francese racconta che “La tragedia della Spagna è ora la tragedia della mia vita, la tragedia della repubblica è quella della mia coscienza. Come potrò ancora sognare? […] Da oggi sono un’esule senza terra, una casa, una famiglia, i suoi sogni, eppure sento che l’esilio, quando è volontario, è ancora un modo per continuare a rivoltarsi contro un sistema politico e sociale oppressivo, contro un apparato teocratico e reazionario. So bene che, quando non c’è altra soluzione che la fuga, essa è sempre la conseguenza di un errore, quale sia, di cui si porteranno a lungo i segni.”
Questa ultima espressione mi è sembrata quanto mai attuale, forse proprio perché la storia ha corsi e ricorsi, il nostro tempo, il nostro momento è molto più vicino a quell’errore di quanto non sospettiamo.
Empanadad, sardine con patate, guane di merluzzo al pil-pil, zuppa di fagioli all’asturiana, ma soprattutto la crema catalana, leche frita, la torta di mandorle alla galiziana conosciuta anche come tarta de santiago, e dei biscotti che ho subito rifatto e che sono i protagonisti dolciastri di questo post, sono solo alcune delle numerose e interessanti ricette che si susseguono con i tragici accadimenti.
L’ultima raccolta è di cucina tedesca, quella de “La Cuoca rossa” ossia “Storia di una cellula spartachista al Bauhaus di Weimar.”
La scrittrice è una delle allieve della Bauhaus, la scuola di arte applicata di Weimar che per mantenersi allo studio gestisce, insieme ai suoi compagni della cellula spartachista di cui fa parte, il ristorante vicino alla biblioteca della scuola.
“Seguite la mia mano, seguite il tema. Anticipate con la vostra sensibilità la forma in divenire se volete cogliere il senso della figurazione.”
Appunti di lezione e ricette si susseguono nelle pagine di questa giovanissima cuoca ma anche riflessioni sui libri letti, discussioni politiche, frammenti di giornate tra studio, lavoro e vita.
Beignes alle mele renette, crosta con mirtilli neri, bavarese ai lamponi, zabaione con salsa di ciliegie allo zenzero, sono solo alcuni dei dolci della giovane cuoca che mi hanno molto incuriosito. Probabilmente li rifarò, forse con piccole variazioni.
Un libro, tre ricettari, tre paesi, tre storie ma soprattutto tre donne molto diverse ma per questo simili perché il frammento della loro vita che ci è pervenuto costruisce una storia unica di intelligenza, coraggio e profondo fascino.
Il libro ha tre prefazioni ad ogni ricettario scritte da Luigi Veronelli.
Il dolce che ho rifatto per primo è un semplice biscotto che l’autrice (la cuoca spagnola) chiama “pasticci alla cannella”, ma il nome non rende appieno la complessità del gusto visto che oltre alla cannella è speziato con la noce moscata ed è amalgamato con succo di limone e di arancia. Questi biscotti non hanno uova e come massa grassa possono avere o il burro o lo strutto. Io ho optato per lo strutto che mi incuriosiva.
Un’altra nota caratteristica è quella che la farina setacciata deve prima essere “tostata” al forno, questo perché la farina perde l’umidità e dona già dall’impasto, un colore dorato.
I biscotti che ho realizzato sono ottimi a colazione ma decisamente perfetti per l’ora del the.
dimenticavo …. sono senza uova!
Pasticci alla cannella (da “La cuoca di Buenaventura Durriti”)
ingredienti
- mezzo chilo di farina 00
- 200 gr di strutto
- 200 gr di zucchero a velo
- un cucchiaino di cannella in polvere
- mezzo cucchiaino di noce moscata in polvere
- la buccia grattugiata di un limone non trattato
- la spremuta di un limone
- la spremuta di una arancia
procedimento
- setacciare la farina e disporla su un foglio di carta forno che ricopre una teglia
- tostare la farina a 180°C a forno già caldo per una decina di minuti (o fino a quando vedete che è diventata leggermente del color ambra chiaro), rigirando un paio di volte la massa
- una volta raffreddata la farina, bisogna setacciarla di nuovo
- fare una fontanella e aggiungere tutti gli altri ingredienti e mescolare bene
- formare una pasta compatta e ricoprirla con pellicola
- far riposare la pasta per due ore in frigorifero
- finito il riposo stendere la pasta per uno spessore di 4 mm e tagliare i biscotti nella forma che più piace
- infornare a forno già caldo a 180°C per circa 20 minuti o meno. Dipende dal vostro forno
- sfornare e lasciare raffreddare prima di servirli
AA.VV. “Cuoche ribelli”
La cucina impudica La cuoca Di Buenaventura Durriti La cuoca rossa, con ricettari di cucina francese, spagnola e tedesca
prefazioni di Luigi Veronelli, collana habitus, Derive Approdi, Roma, 2013