La panna cotta, mai fatta. Sarà perché la panna mi piace nella sua versione spumeggiate, o sarà per il fatto che mi ha quasi sempre deluso mangiarla, forse perché nelle tradizionali pizzerie te la propinano insieme alla crema catalana, fatte entrambe inesorabilmente con le cartine, che questo dolce mi era del tutto indifferente, se non fastidioso, per cui … mai, mai fatto.
E poi mi ricorda la serie dei dolci/cibi tormentoni di un’epoca, come il tiramisù (anche quello mi son sempre rifiutata di farlo, ma mai dire mai) in voga negli anni ’70/80 insieme al tormento dei tormenti, la panna da cucina messa in tutte le paste asciutte per “nobilitarle”. Tutto ciò mi trascina inesorabilmente a quel periodo un po’ cupo dell’austerity della seconda metà degli anni ’70, un periodo tristino, dove l’euforismo dello stare bene dopo la guerra, del boom economico degli anni ’60 ci aveva portato dritti dritti nel mondo della consapevolezza dell’impossibilità della crescita illimitata.
Ecco, la panna cotta mi ricorda questo ed in effetti l’ho sempre vista come un dolce da ripiego, un contentino a fine pasto, quando non c’era di meglio nel menù o quando l’abilità della cuoca era ai minimi …
E in effetti, anche questo mio incontro è stato un ripiego, un adattamento … avevo nel frigorifero un pacchettino di panna che stava per scadere e mi son detta “no, non si può buttare, debbo escogitare una cosa semplice e veloce da fare”.
E allora mi sono ricordata che ultimamente ho mangiato una panna cotta strepitosa, una sequenza di cucchiaiate bianche candide, grondanti di frutti di bosco ammollati in una guazza dolce, ma non troppo. Il tutto servito dentro un barattolino di conserva. Una meraviglia per la gola e gli occhi. Se vi capita di passare per Roma dopo una pasta traditional cucinata benissimo si può finire, anzi si deve finire, con la loro meravigliosa panna cotta dell’Osteria del Pavone dove, in effetti, la sanno fare.
Ma non volevo semplificarmi la vita, la versione blanc/white era troppo semplice e allora ho tirato giù il mio tesoro, due barattoli che ho riportato dal sole di Lampedusa, una crema di pistacchi e la granella di pistacchi, e ho deciso che la panna cotta sarebbe stata verde
Mi sono meravigliata, non mi era mai successo che a fronte di pochissimo impegno avrei riscosso un successo senza limiti.
L’ormai famoso “uomo a cui non piacciono i dolci”, uomo di poche parole e soddisfazioni, è rimasto con il cucchiaino per aria ed ancora oggi, malgrado siano passate delle settimane da quel primo incontro con la mia panna cotta, ne parla quasi estasiato. sarà stato lo squaglio di cioccolata sotto la formina verde? O il pistacchio? O il fatto che non ho messo la quantità di zucchero che la ricetta mi suggeriva, riducendo di un terzo la dolcezza del piccolo dolcetto? Non so ma ha funzionato, per cui vi rigiro la ricetta e vediamo se fa lo stesso effetto!
ricetta di panna cotta al pistacchio
dosi per 4 piccole formine (io ho usato quelle di alluminio per i piccoli babà)
ingredienti
250 ml di panna fresca
3 cucchiai o anche meno di zucchero semolato
2/3 cucchiaini di crema di pistacchio
2 cucchiai di granella di pistacchio + qb per guarnire
6 gr di gelatina
100 gr di cioccolato amaro al 70%
fragole per guarnizione
procedimento
far ammollare la gelatina nell’acqua per 10 min. circa
mettere sul fuoco la panna con lo zucchero e portarla ad ebollizione
spegnere ed aggiungere la gelatina ben strizzata. mescolare per bene in modo da sciogliere la gelatina
aggiungere la crema di pistacchio e la granella
bagnare gli stampini e versarci dentro la panna
lasciare raffreddare e poi metterla nel frigorifero finché non si è raffreddato e rappreso il composto (qualche ora)
prima di servire, mettere in un recipiente la cioccolata fatta a pezzi e farla squagliare a bagno maria.
prendere un piattino e mettere a “specchio” la cioccolata, farla raffreddare un po’ e poi posizionarci sopra la formina di panna cotta.
spolverizzare la montagnola verde con granella di pistacchi e decorare con una fragola tagliata