E’ la moda del momento. Pois ovunque si ricorrono, rimbalzano nei giardini, nei quadri, sulle stoffe, nel paesaggio, nelle architetture e nella grafica. Una ossessione!!!!
Una POISMANIA e allora? Tondo è bello!
E come non pensarlo visto il significato ancestrale del cerchio, che ci lega alla nostra Madre Terra. La storia dei pois pare sia antica e non sempre felice e giocosa come la festosa fantasia tessile. Qualcuno ci ricorda che i punti bianchi dipinti sulle facce degli uomini delle tribù africane erano (e lo sono anche oggi) i simboli propiziatori da esibire nei riti di iniziazione maschile.
Per contro, in epoca medievale, in ambiente europeo, i pois erano collegati a cattivi presagi in quanto manifestazione evidente nelle epidemie di vaiolo, varicella, morbillo, peste bubbonica ed altro. Vedere spuntare piccole macchie rosse tonde era quindi un bel problema!
Nel Rinascimento piccoli cerchietti neri venivano utilizzati dalle signore per mascherare le imperfezioni del viso (in francese moucheron o in inglese patching)
Bisogna arrivare alla fine del 1500 per vederli utilizzati sui tessuti per ricoprire ostinate macchie sui vestiti delle signore; piccoli dischetti neri erano cuciti per nascondere le macchie sugli abiti che spesso non si lavavano e il dry cleaning era ancora lontano…
Il termine pois è francese ma questi seriali puntini hanno una storia recente interessate. In inglese pois si traduce in polka-dot, termine che deriva da Polka, una danza folk boema in voga nella metà dell’Ottocento. Questo ballo ebbe talmente successo che si diffuse velocemente in Europa e divenne moda, tanto da ispirare anche le stampe dei tessuti, polka-dots pattern, il famoso tessuto a pois.
I pois bianchi sul sfondo rosso dell’abitino di Minnie, la fidanzata storica di Topolino, anticipano di poco, quelli degli abiti di Coco Chanel, per arrivare nell’epoca d’oro dei cerchietti, tra gli anni ‘50 e ‘60, dove le fantasie a pois imperversavano in tutte le collezioni di alta moda. PIù recentemente, due sono le immagini difficili da dimenticare, quelle dei due abiti di Audrey Hepburn e di Julia Roberts indossati in Colazione da Tiffany e in Pretty Woman.
Nel frattempo, altri si occuparono dei pois al di fuori dei tessuti; Roy Lichtenstein e la Pop Art ingrandiscono le immagini, i fondali omogenei, in tanti punti, in un pattern grafico che costruisce le immagini senza usare le linee, come nella stampa. Il discorso sarebbe lungo e bisognerebbe partire dalle correnti artistiche tra la fine ‘800 e il primo ‘900.
Oggi?
I pois sono ritornati ed hanno invaso un po’ tutti i campi artistici, dalla pittura al landscape, dal giardino che ha rivalutato, attraverso pixels vegetali, con teorie di bossi a palla, (provenienti dall’antica arte dell’ars topiaria) al cake design fino all’architettura.
Lo scorso anno siamo stati invasi dai punti colorati di Damien Hirst, una invasione planetaria.
mentre nel mondo tessile Marimekko ha prodotto stoffe e carte da parati con i simpatici circoletti seriali
E sempre nel campo della moda, come non sorridere davanti alle Adidas y3 di Yamamoto o i pois delle All Star Converse che ormai corrono un po’ ovunque!
Anche in ARCHITETTURA questo “tormentone” ha il suo campo di applicazione. Io penso che l’inizio dell’uso sia avvenuto con il progetto Downsview di Rem Koolhaas nel 2000, un concorso per la realizzazione di un parco a Toronto, dove il layout era costruito da una sorta di “rete neurale”, una successione di segni circolari, macchie e filamenti, legami, che costruivano una sorta di tessuto, un pattern a pois un po’ scomposto. Anche la modalità di illustrazione del progetto viene contaminata dai cerchi, ed ecco che il progetto diventa una sorta di scatola cinese, dove tutto è espresso dentro e con questa forma geometrica. Da quel momento molti progetti di architettura hanno i pois come protagonisti. Ma più che pois si parla di pixels.
Quest’anno abbiamo visto l’ultima opera del gruppo Magma venire alla luce per le Olimpiadi di Londra, l’Olimpic Shooting Venue, un parallelepipedo bianco dove spuntano, colorati e a rilievo, tanti pois non seriali, come mi piace definirli, “pois casual”.
Nel LANDSCAPE invece, il gruppo Turenscape gioca con un sistema di macro flowform, un insieme di piccole isolette artificiali che hanno lo scopo di creare correnti ed ossigenare lo specchio d’acqua e che caratterizzano, inconfondibilmente, il layout di un nuovo parco in Cina.
Scendendo di scala e passando nel lavoro di Michel Desvigne (per chi non lo conosce è un famoso ed affermato paesaggista francese) e la sua pixel mania, c’è l’imbarazzo della scelta tra le sue realizzazioni, apparentemente scomposte, ma ordinatissime. La mia preferenza in questo momento è per il Roofgarden della Keio Univerity a Tokyo, un jardin pixélisé.
Ma alla mente mi ritorna anche un vecchio e ironico progetto di Martha Schwartz, il Bagel Garden a Boston.
Per finire questo incompleto e lacunoso excursus nel mondo dei pois (glamour) e della versione più contemporanea, i pixels (nel nel linguaggio architettonico/graphic ed altro), due mie personali interpretazioni/visioni/costruzioni, una utopica che riguarda il rapporto tra desertificazione e città (un vecchio tema) e l’altra, meno “amara”, una cake a pois realizzata un po’ di tempo fa, dall’immagine primaverile e decisamente più rassicurante.
“dulcis in pois”