Che storia quella della Chiffon cake!
La Chiffon è una torta americana, soffice come la famosa stoffa, impalpabile, morbida, insomma una di quelle torte che vorresti vedere materializzarsi la mattina a colazione quando invece hai davanti a te solo un vasetto di yogurt.
Oltre a perdermi nella mia versione estiva di questa torta e e arricchita con frutta, mi sono letteralmente persa nella sua storia che mi ha procurato una vera overdose di collegamenti, rimandi, notizie, buffe coincidenze tra il mondo delle cakes, quello dell’architettura, della moda e del cinema.
Come in tutte le leggende, anche la storia della Chiffon cake è avvolta da aloni misteriosi: non si sa da dove venisse né perché si trasferì a Los Angeles ma Harry Baker, il suo inventore, si materializzò ad Hollywood nel 1923 con l’anziana madre.
Nella vita Harry non faceva il pasticcere ma l’assicuratore.
Il suo pallino, la sua ossessione erano però i dolci, soprattutto la ricerca di un particolare dolce la cui base di partenza era quella di un composto di uova montate. Fino a quel momento nel mondo delle cakes due erano le basi di riferimento: le torte che si gonfiavano per la montatura delle uova e quelle invece con dentro il burro che crescevano per l’aggiunta del lievito.
Baker a Los Angeles lavorò nella sua cucina ad oltre 400 variazioni nella ricerca spasmodica della torta perfetta.
E’ il 1927 l’anno che vide nascere la sua star, la sua creatura soffice e misteriosa, una morbida ed alta cake le cui versioni furono inizialmente alla frutta, dalla versione all’arancia a quella al pompelmo o all’albicocca.
La consacrazione a icona delle alte cakes fu quando il suo inventore, per strani giri pasticceri approdò al Brown Derby, un nuovissimo ristorante (in realtà una catena di ristoranti nati nel 1926) di Los Angeles, a Wilshire Boulevars.
Il ristorante ebbe subito successo fin dall’inizio forse per i piatti che si servivano (oltre alla Baker Cake – si chiamava così prima di cambiare in Chiffon – si serviva la Cobb salad, altro piatto innovativo inventato dal proprietario del ristorante, una insalata di uovo, avocado, pomodoro, pollo, cipolla, pancetta, formaggio Roquefort) o forse per la sua immagine, la sua architettura che ancora oggi si studia come icona dell’architettura vernacolare delle streets americane.
Il piccolo edificio, a forma di bombetta, posto all’angolo del 3427 Wilshire Boulevard, era stato pensato per quella che stava diventando la nuova modalità di spostamento di massa, ossia l’automobile. Insegne luminose, enormi simboli, edifici a forma di hot dog dovevano catturare l’attenzione delle persone che ormai possedevano la velocità dell’automobile.
Una specie di richiamo che avveniva attraverso l’utilizzo di macro forme, immagini simboliche o iconiche di ciò che si vendeva o che si mangiava.
Nel caso del Brown Derby, di proprietà di Robert Coob e di Herbert Somborn, ex marito di Gloria Swanson, la bombetta, il derby appunto, accoglieva sotto la sua cupola attori e registi, produttori e giornalisti della Hollywood Golden Age, un posto maledettamente di moda frequentato da chi voleva farsi vedere.
E qui che la nostra cake ebbe il primo pubblico, le prime grandi soddisfazioni: Harry Baker arrivò a lavorare per 18 ore consecutive per produrre le quarantadue torte al giorno che serviva nel ristorante e che le stars di Hollywood si contendevano con isterismi glicemici. Le ordinazioni fioccavano come i dollari!
Si dice che la Baker Cake fosse il dolce preferito di Barbara Stanwyck e che il fatto che il suo inventore non rilevasse la ricetta di questa torta senza burro ed incredibilmente leggera, ma dall’impasto compatto e quasi umido, non faceva altro che aumentare l’aura di leggenda di questa dolcezza.
Per venti anni Baker non svelò il suo segreto, ossia il fatto che la massa grassa di questa torta era, non il burro, ma l’olio di semi, piccolo ingrediente che trasformò la torta come la prima vera novità dolciaria degli ultimi cento anni.
Molto tempo dopo, durante un’intervista al Minneapolis Tribune, Baker disse che l’aggiunta dell’olio era stato per lui, in quella ricerca spasmodica dell’ingrediente per la ricetta perfetta, “come avere un sesto senso, una intuizione che andava al di là del terreno, come una percezione ultraterrestre, una folgorazione cosmica”…….
Insomma, un’altra star hollywoodiana era nata, una cake che fece la fortuna del suo pasticcere e del ristorante che l’aveva messa nel suo menu.
Ma il segreto non poteva durare a lungo, prima o poi si svela, almeno quelli del nostro mondo.
Nel 1947 Harry Baker vendette alla General Mills, il colosso americano alimentare, la sua ricetta, che da quel momento entrò nella produzione delle miscele delle torte da preparare in casa.
Ogni casalinga americana poteva così avere la sua Baker cake, la torta delle stars a casa propria, cotta nel forno familiare. Uno status symbol.
Ma l’ingrediente segreto rimase segreto ancora per un po’ finché un’anno dopo, nel maggio del 1948 fu svelato in un articolo sul Better Homes and Gardens; la prima ricetta pubblicata fu quella dell’Orange Chiffon Cake e fu studiata da Betty Crocker. Ormai la Baker cake si sarebbe chiamata da quel momento in poi Chiffon cake, come la morbida ed impalpabile stoffa.
Nello stesso anno fu pubblicato un’opuscolo di Betty Crocker che conteneva ben quattordici ricette della Chiffon cake, tra le quali la famosa Golden Chiffon Cake, insomma una quasi indigestione……
La Chiffon divenne così la TORTA cult degli anni ’50 tanto che due o tre volte al mese veniva pubblicata una ricetta delle sue tante varianti nel supplemento domenicale del New York Times, e l’articolo veniva letto e ritagliato da migliaia di massaie americane.
Qualcuno però ancora oggi si domanda se la Chiffon cake sia stata una ricetta originale; pare, secondo un articolo di Sylvia Lovegren sulle mode alimentari del 1955, che torte simili alla Chiffon fossero popolari all’inizio del 1900, sotto il nome di Torta Sissy.
Interessante poi la genesi del nome Chiffon, che è un particolare tessuto; il termine deriva da chiffe, che in francese significa letteralmente cencio, straccio e deriva dal fatto che la stoffa è un filato armatura tela o a torsione crêpe, un materiale resistente ma molto trasparente dalla superficie leggermente increspata.
La “chiffoniere” era poi una piccola cassettiera deve le signore riponevano ritagli, piccoli pezzi di stoffa, frammenti di pizzi o di nastri, perché nulla si buttava un tempo, e tutto poteva, prima o poi, trovare un riutilizzo, anche un “cencio” poteva avere una seconda chance.
Negli anni venti questo tessuto, nella sua versione in seta prima e in sintetico dopo, diventò molto di moda negli Stati Uniti, tanto che poi, anni dopo, darà il nome alla nostra cake.
Negli stessi anni, in Francia i grandi chef inventarono la “chiffonades”, verdure tagliate a strisce sottilissime (noi le chiamiamo alla julienne) che dovevano assomigliare a tanti sottili straccetti e che andavano a guarnire i consommé ed altri piatti della tradizione francese.
A me lo chiffon fa venire in mente i tessuti impalpabili delle opere di Issey Miyake che per la sua collezione Pleats Please qualche anno fa ha giocato con la contaminazione tra moda, immagine e forma del cibo.
Indimenticabili i suoi cornetti dolci o i golosi sushi, oppure le morbide ciambelline americane o i plumcake o ancora i rolls dolci.
Insomma, tra morbidezze diverse la Chiffon cake, che oggi è la protagonista del mio post nella versione di Monica Zacchia, è ormai diventata la torta tormentone del gruppo delle Bloggalline, nota ormai come la Fluffosa.
La ricetta di Monica (Monica, capito, un’altra Monica!), la quale ha ormai prodotto una quantità tale di versioni che diventa imbarazzante scegliere quale riprodurre, è una ricetta a “colpo sicuro”, bisogna solo attrezzarsi con la famosa tortiera della Chiffon, quella con i piedini e se non l’abbiamo, utilizzare uno stampo in alluminio arrangiandosi un po’.
La mia versione è solo arricchita con una bagna al limone, un ripieno di panna e pezzettini di pesca per renderla un po’ più estiva.
Attenti però, se la rifate da’ una pericolosa dipendenza. Io vi ho avvisato!
Ricetta della Chiffon cake al limone
(dalla ricetta di Monica Zacchia con poche varianti http://www.dolcigusti.com/2014/02/fluffosissima-al-limone.html per un dolce di 28 cm diametro)
ingredienti
- 250 gr di zucchero semolato
- 285 gr di farina 00
- 7 uova bio
- 160 g di spremuta di limone bio filtrata
- scorza dei limoni bio
- 120 g di olio di semi di girasole
- 1 bustina di lievito per dolci
- 1/2 cucchiaino di bicarbonato di sodio
- 1 baccello di vaniglia (o estratto naturale)
- zucchero a velo q.b. per spolverare
- due pesche noci
- 500 ml di panna da montare
- 250 ml di sciroppo di limone (con 100 ml di zucchero liquido –metodo montersino, 100 ml di acqua e 50 ml di succo di limone)
procedimento
- montare a neve ferma i bianchi d’uovo
- setacciare la farina, il lievito, il bicarbonato e unirli allo zucchero
- fare un buco in mezzo e aggiungere l’olio, i tuorli, la buccia grattugiata dei limoni e il loro succo e la polpa della vaniglia
- mescolare bene e poi, delicatamente, aggiungere i bianchi montati a neve.
- mettere il composto nella tortiera senza, e dico senza imburrarla e infornare a 165 gradi nel forno preriscaldato per 55 minuti e poi a 175 gradi per gli ultimi dieci minuti ma io ci ho messo di meno…. dipende sempre dal proprio forno.
- sfornare il dolce e capovolgerlo. Deve stare in questa scomoda posizione finché non è del tutto freddo. si staccherà dalla tortiera da solo, contateci!
- ho tagliato a pezzetti le due pesche e passate dentro un po’ di succo di limone per non farle annerire
- montare la panna
- tagliare a metà il dolce, inumidire con lo sciroppo di limone, spalmare due terzi di panna e aggiungere le pesche a pezzetti
- con la rimanete panna sporcare i bordi della torta, come una stuccatura venuta male, e finire la copertura con una spolverata di zucchero a velo sulla sommità